Ordine nuovo, Avanguardia nazionale, Nar

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Dallo stragismo al cosiddetto «spontaneismo armato». L'evoluzione del terrorismo neofascista a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Una raccolta di podcast, prevalentemente di ambito processuale, per comprendere cosa sia stata la «nuova» generazione di estremisti di destra raccoltasi attorno alla figura di Valerio Fioravanti.[Considerate le numerose ore di lavoro necessarie a selezionare e categorizzare il materiale, una citazione in caso di utilizzo dei presenti podcast è sempre gradita]
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Valerio Fioravanti, ex leader dei NAR, è chiamato a deporre in qualità di teste nel corso di un'udienza del processo per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, avvenuto a Roma il 20 marzo 1979. Tra gli argomenti trattati nel corso del dibattimento, la militanza nei NAR e i rapporti con Massimo Carminati.Fonte: radioradicale.it

Bologna, 2019. Nel corso del processo per la strage del 2 agosto 1980, il Pubblico Ministero interroga il teste Vincenzo Vinciguerra, autore (reo confesso) della strage di Peteano del 1972. Pur non essendosi mai pentito, Vinciguerra prende le distanze dagli ambienti della destra eversiva italiana denunciandone la collusione con gli apparati dello Stato comunemente definiti «deviati». Secondo le dichiarazioni di Vinciguerra, nei primi anni Settanta i neofascisti veneti Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi gli avrebbero proposto di uccidere l’onorevole Mariano Rumor con la complicità degli uomini della scorta. Tale circostanza è sempre stata negata dai diretti interessati, tuttavia, per il Vinciguerra è la prova del legame tra Ordine Nuovo e i vertici delle forze di polizia. In carcere dal 1979 per il dirottamento di un aereo, l'ex ordinovista rivendica la responsabilità dell'attentato di Peteano soltanto nel 1984. Attualmente è ancora agli arresti.Fonte: radioradicale.it

Giuseppe Valerio Fioravanti, co-fondatore e leader carismatico dei «Nuclei Armati Rivoluzionari», racconta ai giudici la propria adesione alla militanza politica e la genesi dello «spontaneismo armato», fenomeno eversivo che ha coinvolto i giovani dell'estrema destra romana tra la seconda metà degli anni '70 e i primi anni '80. Frammenti audio estratti dal processo d'appello per la strage di Bologna. Udienza del 10 novembre 1989.

Roma, 5 dicembre 1981. Dopo un sanguinoso conflitto a fuoco tra terroristi di estrema destra e agenti di polizia cade senza vita sull'asfalto il ventunenne Alessandro Alibrandi, detto «Alì Babà», uno dei neofascisti più temuti e violenti della capitale. Militante di primo piano dei Nuclei Armati Rivoluzionari, il figlio del giudice Alibrandi vanta un curriculum criminale che comprende stretti rapporti con la Banda della Magliana, numerosi omicidi, una lista sconfinata di rapine e un'esperienza di guerra in Medio Oriente tra le milizie cristiane dei Falangisti libanesi. Reduci dal Libano assieme ad «Alì» sono presenti nel gruppo di fuoco anche i diciannovenni Pasquale Belsito e Walter Sordi, anch'essi militanti dei NAR assieme al loro camerata Ciro Lai, di anni venticinque. Il commando di neofascisti era alla ricerca di una pattuglia della polizia da disarmare ma un agente a bordo di una volante ha riconosciuto il latitante Alibrandi. Quest'ultimo, senza esitare, ha estratto dal giaccone una Smith & Wesson facendo fuoco per primo. Al termine della sparatoria restano feriti anche due agenti, uno dei quali in modo estremamente grave. Si tratta di Ciro Capobianco, poliziotto napoletano di anni ventuno. Raggiunto ai polmoni dalle pallottole morirà in ospedale dopo due giorni di agonia. Il terrorista Walter Sordi viene invece colpito ad una mano. L'indomani, nell'organizzare la convalescenza del proprio camerata, Lai e Belsito si imbatteranno casualmente in una pattuglia dei carabinieri dando vita ad un altro conflitto a fuoco che terminerà con la morte dell'appuntato trentottenne Romano Radici.Nel 2013, nel corso di un'intercettazione ambientale, Massimo Carminati parlerà della morte di Alibrandi attribuendola ad un errore dei suoi camerati (il cosiddetto «fuoco amico») affermando: «Me l'ha detto Lai che stava là! Per altro non è mai uscita la cosa»

Gennaio 1971. Il barone Julius Evola (1898 - 1974) pittore dadaista, filosofo tradizionalista, studioso di magia e dottrine iniziatiche (nonché punto di riferimento intellettuale e spirituale per le nuove generazioni della destra radicale italiana) rilascia una storica intervista per la televisione francese. Proponiamo di seguito un breve spezzone riguardante i rapporti del barone con i regimi di Mussolini ed Hitler

Comizio del parlamentare missino Pino Romualdi, ex vicesegretario del Partito Fascista Repubblicano e co-fondatore del Movimento Sociale Italiano

Giampiero Mughini mostra la residenza romana del barone Julius Evola, pittore dadaista, filosofo, esoterista, studioso di magia e dottrine iniziatiche, punto di riferimento intellettuale e spirituale per le nuove generazioni della destra radicale italiana. Negli anni '60 e '70 il suo appartamento è stato meta di continui pellegrinaggi da parte di numerosi attivisti e studiosi del tradizionalismo integrale. Tratto dal documentario «Nero è bello» (1980), una video-inchiesta televisiva negli ambienti neofascisti italiani

«Qui Bologna. Vi parliamo da una città in lutto, ferita da una delle più immani tragedie che abbiano colpito questo nostro Paese in questo dopoguerra. Erano le 10.25 questa mattina quando una terrificante esplosione ha distrutto l'ala sinistra della stazione ferroviaria di Bologna. L'ala sinistra della stazione di Bologna è quella che ospitava le sale d'aspetto di prima e seconda classe e le tavola calda. Raramente un verbo è stato adoperato all'imperfetto tanto pertinentemente. Questi locali non esistono più»

Catanzaro, 15 aprile 1977. Il neofascista padovano Franco Freda e l'informatore del SID Guido Giannettini (alias «Agente Zeta») si confrontano dinnanzi alla Corte d'Assise nel corso di uno dei processi per la strage di piazza Fontana. Freda nega di aver intrattenuto scambi informativi con il Giannettini sulle attività dell'estrema sinistra veneta. Diversa la versione del collaboratore dei servizi segreti

L'agghiacciante audio dell'esplosione a piazza della Loggia, 28 maggio 1974, ore 10:00. Nascosto all'interno di un cestino portarifiuti, un ordigno costituito da una potente miscela di gelignite e dinamite esplode nel corso di un comizio sindacale antifascista provocando otto morti ed oltre cento feriti. Dopo un lunghissimo iter giudiziario, il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione confermerà in via definitiva la condanna all'ergastolo inflitta nel 2015 ai neofascisti Maurizio Tramonte (condannato in qualità di «fonte Tritone» dei Servizi segreti) e Carlo Maria Maggi (ex ispettore di Ordine Nuovo per il Triveneto).

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